Nell'ultimo anno ho sostenuto molti colloqui e mi sono trovata per la prima volta a dover mandare il mio curriculum online a varie aziende che mi interessavano, contattando le persone che pensavo potessero darmi una mano in questo nuovo obiettivo: trovare un lavoro stabile da dipendente, dopo vari anni in cui mi ero cimentata nell'imprenditoria e prima di quest'esperienza avevo soltanto lavorato in 2 aziende, entrambe trovate tramite il network della mia Università Bocconi.
Sono stata in effetti fortunata fino allo scorso anno a non dovermi mai preoccupare di trovare un lavoro perché l'avevo sempre avuto e non ho mai faticato troppo per trovarlo.
La difficoltà è stata sicuramente principalmente nel capire COSA fare, che tipo di lavoro andare a cercare. E proprio a causa di questa ricerca mi sono imbattuta in processi di recruitment più o meno validi e proprio in base a questi processi di recruitment ho capito quando un'azienda era solida, professionale ed eticamente valida rispetto ad un'altra.
Molte aziende non si rendono conto di quanto sia importante il loro processo di recruitment e soprattutto quanto siano importanti le persone "di facciata" che intervistano nuovi candidati.
Sono loro che rappresentano l'azienda in tutto e per tutto.
Vi racconto 2 episodi veramente spiacevoli in cui ho pensato "io non vorrei lavorare mai per un'azienda così" proprio a causa del processo di assunzione che mi ha lasciato un po' basita e confusa. Proprio a causa delle persone che ho incontrato a rappresentanza dell'azienda dietro di loro.
Episodio 1:
Si parla di una multinazionale di consulenza. Sono stata chiamata a fare un colloquio fuori Milano. Per arrivare avevo previsto circa 1 ora di viaggio utilizzando i mezzi pubblici per arrivare. Come sempre mi ero preparata al colloquio e studiato quanto più potevo della società con cui avevo a che fare. Ero stata chiamata al colloquio tramite email dalla persona che si occupa di recruitment - mai una telefonata, solo email. Arrivo al colloquio 20 minuti prima perché non mi piace tardare specialmente a questi appuntamenti importanti. All'ora esatta comunico alla reception che sono arrivata. Mi rispondono che purtroppo il manager che doveva farmi il colloquio ha avuto un imprevisto e che dunque dovevano riprogrammare l'incontro.
Nessun problema torno a casa e scrivo alla recruiting manager quando posso tornare. Passa circa 1 mese dall'incontro successivo. Di nuovo torno nell'ufficio a 1 ora di viaggio da Milano. Attendo che arrivi l'orario del colloquio. Alla reception chiamano il manager che doveva intervistarmi (un altro rispetto a quello della precedente volta) e di nuovo per un improvviso impegno mi rimandano il colloquio.
Con pazienza torno a casa, scrivo alla recruiting manager e da quell'ultima mia email non ho più avuto notizie, né di un nuovo colloquio né di scuse per avermi fatto perdere tempo per ben 2 volte per 2 colloqui a vuoto.
Il rispetto e l'educazione sono alla base di qualsiasi rapporto. Soprattutto se si tratta di un colloquio di lavoro. Non bisogna dimenticarci il fatto che il potenziale candidato avrà un ricordo poco piacevole dell'azienda e anche se non sarà selezionato, l'azienda non farà una bella figura e rovinerà la sua reputazione all'esterno.
Episodio 2:
La seconda azienda in cui mi sono imbattuta è una delle aziende più ambite nel settore dei beni di largo consumo, famosa per il suo processo di recruitment molto difficile.
In questo caso riesco a ottenere un colloquio perché scrivo direttamente alla persona a capo del dipartimento digitale. L'HR Manager mi contatta per un colloquio a circa 1 mese dopo il primo contatto. Chiamo delle persone che conosco già dipendenti per farmi dare qualche dritta su come approcciare il colloquio.
Studio bene l'azienda e cerco di prepararmi al meglio. La persona che incontro è molto fredda, sorride poco, mi guarda poco negli occhi e mi fa sedere in una saletta dove mi pone davanti dei fogli bianchi.
Esce a prendere dell'acqua, torna e inizia a farmi una serie di domande incalzanti e in tono molto scostante e arrogante quasi come se non avesse voglia di intervistarmi. La percezione che ho avuto fin da subito era che lui non trovasse il mio CV appropriato e fosse stato quasi costretto da qualcun altro a conoscermi.
Durante tutta la durata dell'intervista non ha fatto altro che mettermi in difficoltà con domande scomode e sempre con tono arrogante e antipatico. Ma la cosa più imbarazzante (per lui, non per me in questo caso) è che abbia dato zero valore alla mia esperienza imprenditoriale, dicendo testuali parole: "Ah qui leggo "Pinktr... vabbè sorvoliamo, non l'ho mai sentita nominare, non mi sembra nulla di rilevante".
E invece di riconoscere il fatto che fino ad oggi, in 10 anni di esperienza lavorativa, io mi sia sempre messa in discussione, testando più tipologie di lavoro in contesti diversissimi (PR, Corporate Finance, Marketing, Imprenditoria, Consulenza...) lui ha sminuito questo aspetto dicendo che secondo lui sono una persona che non ha le idee chiare.
La competenza, la visione, la lungimiranza e la solidità di un HR Manager si vedono soprattutto dalla professionalità e dal rispetto che mette durante un colloquio. Arroganza e mancanza di rispetto non devono rientrare in un processo così delicato dove è l'azienda per prima ad avere bisogno di nuove risorse e non solo il candidato ad aver bisogno di lavoro. Ricordiamoci che entrambe le parti hanno bisogno gli uni degli altri!
A voi è mai capitato di pensare che a causa di un processo di recruitment poco "felice", abbiate perso anche stima nei confronti dell'azienda stessa?
Fatemelo sapere scrivendomi a info@elianasalvi.com
Grazie per l'attenzione e vi auguro di trovare sempre HR manager all'altezza del ruolo che hanno, che è davvero un bel ruolo!
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